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Immagine del redattoreBarbe à Papa Teatro

L’ANNO DEL (NON) TEATRO CHE VERRÀ

Ci siamo appena lasciati alle spalle un anno che le prossime generazioni studieranno a lungo sui libri di scuola. Un evento di portata ben maggiore dell’11 settembre, della guerra in Iraq, della crisi economica del 2008 – per citare gli avvenimenti più significativi del millennio. Un evento che segnerà il nostro quotidiano anche negli anni a venire e che cambierà le nostre abitudini, il nostro modo di agire, di relazionarci. Un virus che ha colpito, direttamente o indirettamente, ognuno di noi. Nessuno può dire di esserne totalmente estraneo. Eppure abbiamo la sensazione che alcuni modi di gestire la cosa pubblica non cambieranno mai.


I teatri, nel 2020, in Italia, sono rimasti chiusi al pubblico per 174 giorni, e di riapertura, per il 2021, ancora non si parla. Riapertura che, almeno inizialmente, sarà simile a quella avuta da giugno a ottobre, quindi con sale più che dimezzate e lavoratrici e lavoratori obbligati a rispettare assurdi protocolli, distanti da qualsiasi logica professionale e di prevenzione del contagio. Senza parlare del rispetto delle esigenze artistiche, figuriamoci.


Peggio di noi è andata a studenti e studentesse di scuole e università; cosa ancor più grave dei teatri chiusi sono le scuole chiuse. Cosa ben peggiore degli spettacoli in streaming è la didattica a distanza.


Il governo non è riuscito a tutelare cultura e istruzione dalla seconda ondata (e forse nemmeno dalla terza), limitandosi goffamente a provare a salvare il sistema economico, la cosa più importante, a quanto pare. Per non parlare della situazione disastrosa in cui versa (da anni e anni) il sistema sanitario nazionale. Non prendiamo lezioni dal passato, evidentemente.


D’altronde è tutta una questione di scelte. Chi butti giù dalla torre: il teatrante o il ristoratore? La scuola o le piste da sci? Gli ospedali o le acciaierie?


Scelte che hanno sempre a che fare con l’uovo di oggi e che mai guardano alle generazioni future (a tal proposito leggete qui del fondo Next Generation https://linktr.ee/unononbasta); scelte che si concentrano su quanto è pieno il tuo conto corrente e non su quanto ti senti bene; scelte che hanno a che fare con l’apparire e non con l’essere.


E il NON teatro che verrà seguirà questa logica: la logica economica, la logica dell’intrattenimento, la logica del rassicurare, la logica del potere, la logica del successo, la logica dell’evento. E non ci saranno nemmeno più le cantine e i piccoli teatri pronti ad ospitare coraggiosi spettacoli di Teatro (con la t maiuscola).


Il sistema culturale italiano è guidato da politici mediocri, inadatti al ruolo, primo su tutti il ministro Franceschini. A seguire (molti) direttori artistici – mi riferisco solo al settore teatrale che è quello che conosciamo meglio. Ci siamo abituati ad accontentarci del meno peggio e quasi ci sentiamo in dovere di ringraziare quel direttore che non manda i bilanci per aria. Della qualità delle programmazioni non si legge mai una critica; non ci si interroga su un sistema governato per lo più da maschi e anziani; nulla si dice del malcostume che regola il sistema degli scambi né si parla della scarsissima fiducia che si dà alle nuove generazioni.


Cambierà qualcosa alla riapertura? Ce lo auguriamo. Una coscienza, dal basso, sembra smuoversi. Temiamo che questo sentimento però non sia ancora abbastanza determinato per arrivare ai piani alti, dove si decide, volente o nolente, il destino culturale del paese.


Per questo 2021 ci auguriamo un teatro che riesca a invertire le priorità: mettere in basso denaro, successo e individualismo e tra i primi posti felicità, condivisione e sogni. Ci auguriamo un teatro che ci liberi dal desiderio e che ci faccia impadronire del piacere. Ce lo auguriamo, e ci proveremo. Dal basso. Come sempre.


Buon 2021 da Barbe à Papa Teatro

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