Non che ci sia una stagione in particolare che ci spinge a fare i conti con la nostra coscienza. Certamente non si può negare, però, che l’eccezionale momento che abbiamo attraversato, e che stiamo ancora vivendo, ci spinge a una riflessione, prospettandoci un futuro incerto, a tinte scure, in cui il rischio di aumento del divario di disparità sociale ed economica è concreto e non riservato solo a una visione pessimistica della realtà.
Ho come l’impressione che la spinta solidale dei primi mesi di lockdown si sia già esaurita, e che abbia lasciato spazio a istinti di sopravvivenza personali e campo libero a potenti e governanti di varia natura, che hanno la possibilità di agire quasi inosservati, se non addirittura giustificati dalla “situazione emergenziale”.
È vero anche il contrario, però, e questo scritto in parte lo dimostra. Per alcuni, la possibilità di ritornare al “come prima” – un come prima in cui si riconoscevano dei problemi, evidentemente – li sta spingendo a fare fronte comune e ad elaborare strategie di solidarietà che possano permettere di attraversare, più o meno indenni, la tempesta.
Barbe à Papa Teatro - di cui sono orgogliosamente uno dei sei fondatori - è una compagnia teatrale nata nel 2018, e che, come tante altre, si è vista interrompere i propri sogni di crescita intorno ai primi di marzo di quest’anno. Il rischio che questa compagnia non sopravviva al 2020 è altissimo, ne abbiamo piena coscienza. Così come è alto il rischio che ognuno di noi sei, nel 2021, si ritrovi a fare altro nella vita, dopo aver appeso la maschera al chiodo (ne parlavamo nell’articolo Perderemo una generazione di teatranti).
Sarà per la paura di scomparire, sarà per la passione che ci lega a questo progetto, sarà per incoscienza, abbiamo deciso di investire di più, in termini di tempo, risorse ed energie.
Barbe à PaPOST è uno degli strumenti che abbiamo deciso di adottare, inserendo questo piccolo blog all’interno del nostro sito. Un luogo dove dire la nostra rispetto alle questioni che più ci scaldano, certamente legate al teatro ma non solo. Degli scritti che forse possono diventare una risorsa per chi li leggerà – e che certamente lo sono per noi che li scriviamo. Delle letture che possano spingere all’azione o che siano esse stesse azione. Le parole compiono azioni, si sa, e con le nostre parole vogliamo schierarci. Non per metterci dalla parte della ragione o del torto, concetti sempre troppo evanescenti. Ma per metterci da una parte. Punto.
Per raccontare le difficoltà che affronta oggi una compagnia teatrale.
Per analizzare criticamente il sistema teatrale italiano, individuandone punti deboli e vizi consolidati.
Per creare un dibattito costruttivo e non distruttivo.
Ma anche per dire la nostra sulla parità di genere, sull’esclusione sociale, sui diritti negati.
Per interrogarci sul ruolo culturale del teatro in Italia e sulla sua reale accessibilità.
Seguiteci, dunque, se vi andrà, e confrontiamoci. Questo è il contributo che diamo a noi stessi e alla società in cui viviamo. Un contributo piccolo ma presente.
La nostra, probabilmente, sarà la “voce di uno che grida nel deserto”, come si definiva Giovanni Battista, che però, come scrive il Vangelo, ha preceduto Gesù.
Ecco, con la speranza di preparare la strada ad altri, più grandi di noi, vi auguro e vi auguriamo buona lettura.
Claudio Zappalà
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